DCC (Digital Compact Cassette)
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Autore: Franco Lever
È un nuovo formato di cassetta audio che prevede la registrazione digitale del suono. La DCC, presentata dalla Philips nel 1991, può essere considerata un’evoluzione della gloriosa cassetta brevettata dalla stessa casa trent’anni prima (1962). Il progetto è nato da uno studio prospettico sull’andamento del mercato negli anni Novanta, che segnalava una forte domanda a livello consumer per un tipo di registratore che garantisse contemporaneamente la compatibilità con l’enorme quantità di cassette preesistenti e una qualità confrontabile con il CD audio. Il nuovo formato risponde a tutte e due queste esigenze.
Per quanto riguarda la compatibilità con il formato precedente, la DCC mantiene invariate le dimensioni della cassetta e del nastro e la velocità di scorrimento; la meccanica di trascinamento è solo migliorata (funziona in auto-reverse), così come lo sono le testine e il circuito audio.
L’eccellenza della qualità audio è ottenuta abbinando al circuito tradizionale un vero e proprio sistema parallelo: con una opportuna rotazione, il gruppo di registrazione porta a ridosso del nastro un pacchetto di nove micro-testine, le quali sono collegate a un circuito che elabora il suono in forma digitale. La sfida maggiore al progetto era costituita dalla quantità di dati da registrare e dall’esiguità del nastro disponibile, utilizzato, per giunta, metà quando la cassetta gira in un senso e metà quando gira nel senso opposto. Il problema è stato risolto riducendo le informazioni in forma drastica rispetto a quelle utilizzate dal CD (la compressione è 11:1). All’ascolto non ci si accorge di questa riduzione, perché, oltre agli algoritmi di compressione di tipo matematico, si è fatto un largo uso delle conoscenze offerte dalla psicoacustica (la scienza che studia il funzionamento dell’udito): in concreto tutte le informazioni concernenti i suoni, che il nostro orecchio non riconoscerebbe, non vengono registrate.
Nonostante questo brillante risultato tecnologico, le previsioni non hanno indovinato il comportamento del mercato. La spiegazione di quest’errore non va cercata soltanto nell’inerzia del pubblico nei confronti di un prodotto nuovo, ma anche nelle barriere commerciali erette contro la diffusione di questo tipo di macchine (DAT; MiniDisc) da parte dei produttori di musica. Il moltiplicarsi di macchine, che consentono la produzione illimitata di copie perfettamente uguali all’originale (il trattamento digitale del suono garantisce questo risultato), è una minaccia considerata mortale da tutta l’industria musicale. Si profila ora una soluzione valida per tutti, eccetto che per l’utilizzatore finale; consiste in un dispositivo obbligatoriamente applicato a ogni macchina, che consente la produzione di una sola copia del programma originale. (MP3)
Per quanto riguarda la compatibilità con il formato precedente, la DCC mantiene invariate le dimensioni della cassetta e del nastro e la velocità di scorrimento; la meccanica di trascinamento è solo migliorata (funziona in auto-reverse), così come lo sono le testine e il circuito audio.
L’eccellenza della qualità audio è ottenuta abbinando al circuito tradizionale un vero e proprio sistema parallelo: con una opportuna rotazione, il gruppo di registrazione porta a ridosso del nastro un pacchetto di nove micro-testine, le quali sono collegate a un circuito che elabora il suono in forma digitale. La sfida maggiore al progetto era costituita dalla quantità di dati da registrare e dall’esiguità del nastro disponibile, utilizzato, per giunta, metà quando la cassetta gira in un senso e metà quando gira nel senso opposto. Il problema è stato risolto riducendo le informazioni in forma drastica rispetto a quelle utilizzate dal CD (la compressione è 11:1). All’ascolto non ci si accorge di questa riduzione, perché, oltre agli algoritmi di compressione di tipo matematico, si è fatto un largo uso delle conoscenze offerte dalla psicoacustica (la scienza che studia il funzionamento dell’udito): in concreto tutte le informazioni concernenti i suoni, che il nostro orecchio non riconoscerebbe, non vengono registrate.
Nonostante questo brillante risultato tecnologico, le previsioni non hanno indovinato il comportamento del mercato. La spiegazione di quest’errore non va cercata soltanto nell’inerzia del pubblico nei confronti di un prodotto nuovo, ma anche nelle barriere commerciali erette contro la diffusione di questo tipo di macchine (DAT; MiniDisc) da parte dei produttori di musica. Il moltiplicarsi di macchine, che consentono la produzione illimitata di copie perfettamente uguali all’originale (il trattamento digitale del suono garantisce questo risultato), è una minaccia considerata mortale da tutta l’industria musicale. Si profila ora una soluzione valida per tutti, eccetto che per l’utilizzatore finale; consiste in un dispositivo obbligatoriamente applicato a ogni macchina, che consente la produzione di una sola copia del programma originale. (MP3)
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Bibliografia
- BAERT Luc, Digital audio and compact disc technology, Focal Press, Oxford 1995.
- SINCLAIR Ian R. (ed.), Audio & Hi-Fi handbook, Newnes, Oxford 1993.
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Note
Come citare questa voce
Lever Franco , DCC (Digital Compact Cassette), in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (18/11/2024).
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